Meglio la pizza napoletana, alta e morbida, o la pizza romana, bassa e croccante?
Tale quesito ci tormenta dall’alba dei tempi… o meglio, dall’alba della pizza.
Fu così che l’Italia, come da tradizione, si ritrovò divisa a metà… già, anche sulla pizza. La cosa vi meraviglia? A me no.
Di conseguenza, al sud paghi un supplemento per avere la pizza sottile, ove prevista dal menù, mentre al nord lo paghi sulla variante alta. E quando al nord pago il supplemento su una pizza che normalmente pagherei la metà (e mi soddisferebbe il doppio)… il boccone è difficile da mandar giù.
Paese che vai, usanze che trovi. Pace a voi e così sia.
Personalmente, ritengo la pizza napoletana ineguagliabile. Non a caso, è stata proclamata dall’Unesco “patrimonio dell’umanità” (meglio tardi che mai!). Lo so, detto così suona un po’ razzista, ma vi assicuro che non lo è. Con questa affermazione non intendo denigrare ogni altro genere di pizza, visto e considerato che ho avuto modo di mangiarne e apprezzarne di eccellenti in diverse zone dello Stivale.
Semplicemente, sono uno che davanti al cibo impiega un po’ per accontentarsi. Uno dei problemi della pizza sottile può essere, per un ingordo come il sottoscritto, la necessità di mangiarne una seconda (e, di conseguenza, pagare due volte), dato che una soltanto potrebbe non saziare a dovere.
Non che la pizza napoletana sia pesante. Ribadisco, ho sempre preferito un impasto più corposo. Ma non di quelli che si piazzano sullo stomaco, tanto per fare zavorra e farti trascorrere una notte insonne, o tra incubi e sudori freddi. D’altro canto, oltre alla compattezza eccessiva, esiste sempre la possibilità di soffocare con una pizza troppo gommosa (e una volta stavo per lasciarci seriamente le penne!). O, se sottile, spaccarsi uno o più denti con un bel biscotto super-croccante.
È innanzitutto il modo in cui viene lavorato e fatto lievitare l’impasto a garantirne leggerezza e digeribilità, qualità ancor più apprezzabili negli ultimi tempi, grazie all’impiego sempre più diffuso del cosiddetto lievito madre, specie nel ramo della pizza napoletana. E, per favore, non chiamatela “focaccia”, o vi faccio scomunicare per eresia!
La farina? E io che ne so. Le pizze le mangio, mica le faccio. Ma state pur certi che il tipo di farina o diverse farine mescolate tra loro possono cambiare la storia – e le sorti – di una pizza da così a così.
Gli ingredienti? Quelli vengono dopo. Il più fresco, squisito e genuino degli ingredienti non potrà mai coprire gli orrori di un impasto malfatto. Ma non per questo meritano di essere meno valorizzati. Non è in base ad essi, in sostanza, che la scegliamo?
Il forno? Rigorosamente a legna, per l’amor del cielo! O perlomeno, evitate chiamare pizza quell’obbrobrio che ne verrà fuori.
Per rispondere alla domanda iniziale: che sia alta o sottile, poco importa. L’importante è che sia fatta bene. E per esser fatta bene, dev’esser fatta da un “vero” pizzaiolo.
Sarei un ipocrita se non ammettessi che di bravi pizzaioli se ne possono trovare in ogni angolo del mondo. Ma se la materia prima è tutto, è anche vero che molto dipende dall’esperienza e dalla manualità, senza tralasciare la creatività (e non mi riferisco alla pizza all’ananas, ovviamente).
Che sia alta o bassa, spessa o sottile, morbida o croccante, la pizza migliore è quella che vi fa venir voglia di tornare tutte le sere nello stesso posto. Fidatevi sempre di chi sa fare una buona pizza, o le pizze – parola di intenditore – finirete per tirargliele in faccia.